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Avvocatessa o avvocato. Ma perché non avvocata?

L’Ordine forense di Bergamo e i magistrati provano a fare chiarezza e a darsi qualche regola per promuovere la parità.

Ma il nodo da sciogliere è ancora l’uso non sessista delle lingua italiana.


di Maria Concetta Tringali


Il protocollo d’intesa è di luglio, ma la notizia è rimbalzata sulle testate nazionali (1) per giorni e ha tenuto banco, creando la solita polemica. Sì, perché il documento (2) contiene più delle classiche linee guida. A sottoscriverlo sono il Presidente del Tribunale di Bergamo, il Procuratore della Repubblica, il Presidente dell'Ordine degli Avvocati e quello del Comitato Pari Opportunità.

In linea con testi simili (3), già licenziati dagli organi forensi e dai rappresentati della magistratura negli anni scorsi, lo scopo del documento è quello di promuovere la parità e contrastare le condotte discriminatorie. Ma non solo, qui pare esserci anche dell’altro.

A sollevare riflessioni e critiche è infatti una previsione che definire spinta, considerata la natura impervia del terreno su cui si muove, non è per forza un’esagerazione. Si prescrive che giudici, avvocati, personale di cancelleria e ufficiali giudiziari “adotteranno formulazioni linguistiche che non escludano o discriminino le persone di un sesso rispetto a quelle dell’altro (…). In particolare sarà consigliato un utilizzo del genere grammaticale appropriato al proprio interlocutore/interlocutrice, così da introdurre un elemento che “nomini” la differenza di genere e consenta di identificare la presenza delle donne, contrastando la discriminazione”.

Ed è proprio a questo punto che arriva quella che per molti - e per molte - rimane ancora oggi una bestemmia: il suggerimento di usare il termine avvocata, egregia avvocata.

Stando alle regole della grammatica – possiamo proprio dirlo - non sarebbe un errore. A leggere la Treccani (4), infatti, quel femminile esiste - accanto ad avvocatessa - ed è corretto. Eppure a molte non piace.

Quel protocollo insomma, come era prevedibile, ha sollevato reazioni piccate che non si sono fatte attendere.

E, con quelle, la conferma che le più infastidite sembrano essere le donne. Alcune spinte dall’abitudine, portate a ritenere sgradevole un’espressione meno frequente, molte altre impegnate in una strenua difesa del termine che le qualifica nella sua declinazione al maschile.

L’atteggiamento che è di professioniste (5) ma anche di personaggi pubblici deve avere una spiegazione ed è fenomeno che merita una riflessione.

Durante una recente uscita pubblica Giulia Bongiorno (6), dal vertice del dicastero della PA nel governo giallo verde, precisava con convinzione di voler essere chiamata ministro e non ministra. E rincarava la dose: “io voglio anche che mi si chiami avvocato. Quelle chiamate avvocate e avvocatesse sono considerate di serie B”.

D’effetto, certamente. Ma il senso del ragionamento si fa ancora più chiaro, se solo si recupera una sua intervista (7) di qualche tempo fa. Quella davvero non lascia margini di dubbio: “Bisogna lottare su tutto: in commissione giustizia facevo cambiare tutte le lettere. Scrivevano: la presidente. Io voglio che si pensi che sono autorevole, preparata, tosta, brava. Sono come un uomo, sono un presidente”. Declinato al femminile, insomma, quel titolo perderebbe valore. Per essere brave dobbiamo essere come gli uomini.

Sono passati decenni dalla pubblicazione delle Raccomandazioni (8) di Alma Sabatini e dall’ilarità e lo sberleffo di Pietro Citati sulle pagine del Corriere (9), ma poco o nulla sembra essere cambiato.

Il punto è sempre il sessismo nella lingua italiana.

Ancora oggi, quando si prova a indagare la genesi della Costituzione, si legge di padri costituenti mai di madri. L’espressione rivela una scelta impropria oltre che discriminatoria, è il segno di un’omissione grave, perché non permette di recuperare alla memoria il lavoro di 21 donne.

Bisogna ammetterlo, allora e fino in fondo, che non sono solo parole. Esse hanno un ruolo e possono essere importanti.

Specie le volte che segnano la presenza e condannano all’assenza.



Note

(1) https://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/18_agosto_19/per-donne-usare-avvocata-l-intesa-ordine-magistrati-52fe2564-

a446-11e8-909a-69b7c409c235.shtml

(2) http://www.tribunale.bergamo.it/doc/Protocollo_dintesa_con_il_Comitato_pari_opportunit.pdf

(3) http://www.ordineavvocatifirenze.eu/wp-content/uploads/2016/03/Protocollo-dintesa-pari-opportunit%C3%A0-nelle-

attivit%C3%A0-processuali.pdf

(4) http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/domande_e_risposte/grammatica/grammatica_001.html

(5) https://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/18_agosto_19/per-donne-usare-avvocata-l-intesa-ordine-magistrati-52fe2564-

a446-11e8-909a-69b7c409c235.shtml

(6) http://www.la7.it/in-onda/video/lintervista-al-ministro-giulia-bongiorno-ii-parte-23-08-2018-248679

(7) https://ledonnevisibili.wordpress.com/2014/05/07/giulia-bongiorno-avvocato-o-avvocatessa/

(8) https://web.uniroma1.it/fac_smfn/sites/default/files/IlSessismoNellaLinguaItaliana.pdf

(9) «Pochi giorni fa, ho letto in casa di un amico uno strano libretto, di cui Giulia Borghese ha già parlato in questo giornale: Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, a cura di Alma Sabatini, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. È uno dei grandissimi capolavori comici della letteratura italiana – a metà strada tra Gli Uccelli e Pinocchio. Vorrei che tutti gli italiani lo leggessero a voce alta, la sera, nelle famiglie. Per abolire il predominio maschile dalla lingua italiana, l’autrice raccomanda di non scrivere i diritti dell’uomo, ma i diritti della persona, […] non l’uomo della strada ma la persona o l’individuo della strada, […] non Marguerite Yourcenar è uno dei più grandi scrittori viventi, ma Marguerite Yourcenar è una delle più grandi, tra scrittrici e scrittori viventi[…]. Il problema della Sabatini è soprattutto l’uso indiscriminato dei nomi uomo e scrittore, che in italiano vengono usati indifferentemente per indicare maschi e femmine, scrittori e scrittrici. Ma uomo e scrittore, come ci vengono proposti dalla lingua italiana, non sono maschili: sono androgini. La lingua è l’unico luogo della Terra dove la separazione dei sessi, che secondo i miti verrà abolita alla fine dei tempi, è già cancellata. Non capisco tanta ostilità e tanta furia contro la lingua italiana – l’unica patria della quale non ci dobbiamo vergognare.» (Pietro Citati, «L’italiano androgino», Il Corriere della Sera, 12/05/1987)





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