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Decreto sicurezza. Ma sicurezza per chi?

di Maria Concetta Tringali

Con la pubblicazione della legge di conversione n. 132, sulla Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre, è legge il decreto sicurezza voluto da Salvini.

Il testo è rubricato «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata».

Già dal titolo è chiaro come il provvedimento incida, più che sulla gestione dei beni confiscati alle mafie, soprattutto in materia di immigrazione. C’è di fondo però come un denominatore comune. Questo governo vede nei migranti un problema di ordine pubblico, una questione di sicurezza appunto al pari della mafia. A dirla tutta, proprio alla criminalità organizzata il decreto Salvini finisce per aprire praterie. Sì, perché con il provvedimento si dà facoltà, per la prima volta, anche ai privati di acquistare immobili e aziende confiscate perché di provenienza illecita. La facilità con cui certi meccanismi riporteranno le ricchezze nel circuito della criminalità è una conseguenza davvero preoccupante e sulla quale bisognerebbe riflettere, prima di sbandierare l’antimafia dei proclami.

Per tornare al tema sbarchi, che il Ministro dell’Interno lo abbia usato come perno sul quale far ruotare dapprima l’intera campagna elettorale e successivamente la macchina della propaganda è dato di fatto.

Ma che cosa dice questa legge? Una premessa, seppure schematica, sul quadro normativo in cui il provvedimento appena promulgato interviene, sembra d’obbligo.

A dare uno sguardo al documento, predisposto dal Servizio Studi della Camera a fine novembre, possiamo trarre utili spunti di riflessione.

Apriamo intanto la Costituzione che al terzo comma dell’art. 10 riconosce che «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Dunque, diritto d’asilo intanto, sulla cui centralità interviene anche il Presidente Mattarella con una lettera a Conte proprio all’indomani della firma che dà il via libera a questo decreto.

Lo scacchiere degli strumenti che riguardano più da vicino il fenomeno dell’immigrazione si completa in questi anni con il riconoscimento dello status di rifugiato e con l’istituto della protezione internazionale. In realtà, è proprio in questi due ambiti che le novità del decreto sicurezza si fanno più evidenti.

Consideriamo che rifugiato è per definizione la vittima che subisca atti concreti di violenza e di persecuzione e che chieda di essere accolta in un paese straniero; da lì il diritto a ottenere un permesso di soggiorno di durata quinquennale. La radice risale alla Convenzione di Ginevra del 1951. Nell’impossibilità di dar prova concreta di quei fatti delittuosi e discriminatori, se sussiste però per quell’individuo il pericolo effettivo di subire un grave danno, ciò basta – o meglio bastava, nel quadro precedente - a innescare il meccanismo della protezione internazionale cosiddetta sussidiaria.

Esisteva addirittura nel nostro paese la possibilità di dare accoglienza e protezione in via temporanea, per lo più quando l’afflusso si facesse massiccio.

Trovarsi a pensare, a questo punto, agli sbarchi dell’ultimo decennio è un passaggio automatico. Come lo è ricordarsi che l’accoglienza buona esiste (quello di Riace rimane fotografato nella relazione ispettiva della prefettura di Reggio Calabria come “modello di accoglienza”, malgrado lo smantellamento imposto in seguito) mentre su altre esperienze (come il CARA di Mineo) si indaga ancora su filoni che toccano, in certi punti, addirittura, mafia capitale.

Questo lo scenario che si era consolidato finora, in un’evoluzione normativa che aveva plasmato il diritto interno sulle spinte di quello comunitario e aveva introdotto, ad esempio, il Piano nazionale di integrazione dei titolari di protezione internazionalesolo nel settembre 2017.

Ma - dicevamo -il decreto sicurezza cosa modifica, verso dove ci conduce?

Le risposte a queste domande ci sono già tutte. E le ritroviamo nelle riflessioni a caldo dei tecnici del diritto che individuano nella soppressione della protezione per motivi umanitari un profilo di sicuro interesse e di grande ricadute. «È evidente una restrizione discutibile e sproporzionata del diritto di asilo e della libertà personale, con misure che non velocizzano davvero le procedure di rimpatrio in mancanza di accordi bilaterali e che perciò alla fine lasceranno in situazione di soggiorno irregolare un numero crescente di stranieri. Ciò aumenta e non diminuisce certo il senso di insicurezza di tutti».

Il decreto, su cui era stata posta la questione di fiducia, fa un’operazione poco lineare: mentre abroga l’istituto della protezione umanitaria, ne mantiene in vita alcuni riflessi limitandolo a una griglia di singoli casi tipizzati che integrerebbero d’ora in avanti la cosiddetta protezione "speciale" per motivi umanitari.

Come dire, non ci si aspetti più dall’Italia la protezione per motivi umanitari ma unicamente, e caso per caso,dei provvedimenti ad hoc, speciali per l’appunto. Se poi pensiamo che i beneficiari saranno quei richiedenti che si dimostreranno in condizione di dar prova che la loro istanza di protezione poggi su motivi umanitari, sembra di assistere a un tuffo carpiato: è la legge che si avvita su se stessa. L’idea di fondo però è che restringendo così tanto le maglie, dal terreno si faccia sparire del tutto il diritto. Al suo posto – come nella prassi accade, di solito - sacche di privilegio che la discrezionalità della burocrazia declinerà di fatto senza troppo dar conto di come.

Superati gli SPRAR che resteranno aperti ai soli titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati, con quelli sembra saltare anche l’idea che più accoglienza possa essere sinonimo di più sicurezza. Il sistema cambia del tutto e intanto espelle i più deboli.

Come non porsi la questione delle donne migranti che sono poi le vittime più vulnerabili della violenza domestica? Il fenomeno, lo sappiamo tutti ormai, ha connotati mondiali, un carattere strutturale globale, appunto. Dal 2013 le migranti abusate e molte volte vittime di tratta sono peraltro destinatarie di un permesso di soggiorno, introdotto dalla legge sul femmincidio. In realtà, anche su questa norma ci sarebbe da precisare parecchio. E infatti quel permesso scatta solo in caso di pericolo grave e attuale. In assenza del rischio dimostrato e dimostrabile, invece, la donna straniera non matura alcun diritto a ottenere il permesso di soggiorno, pure se vittima di violenza e di maltrattamenti. Diversamente dalla norma calata nel testo unico per l’immigrazione, la Convenzione di Istanbul – cui quella legge vorrebbe dare applicazione - prescrive l’obbligo di «garantire che le vittime, il cui status di residente dipende da quello del coniuge o del partner, conformemente al loro diritto interno, possano ottenere in caso di scioglimento del matrimonio o della relazione, in situazioni particolarmente difficili, un titolo autonomo di soggiorno, indipendentemente dalla durata del matrimonio o della relazione».

La situazione difficile e il pericolo grave e attuale sono strettamente correlati. Farne una questione di requisito significa, però, anche qui restringere l’accesso a uno strumento che si è già dimostrato negli anni di difficile utilizzo.

Per tornare al decreto sicurezza, senza tanti giri di parole gli effetti devastanti sulle vittime ce li spiega la rete antiviolenza, con un comunicato che reagisce alla pubblicazione in Gazzetta di quella legge: «Da qualche giorno chi arriva nel nostro paese come richiedente asilo non ha più il diritto e la possibilità di avere un indirizzo di residenza, nemmeno presso le strutture di accoglienza. Decine di migliaia di persone, uomini, donne, spesso con i loro bambini/e, a cui viene riconosciuto un solo diritto: quello di chiedere asilo. Ma che dovrebbero essere invisibili e disincarnati, così da non “pesare” in alcun modo sul sistema Italia. Questa misura inclusa nel decreto sicurezza è gravissima nei confronti di tutti, in particolare delle donne richiedenti asilo, spesso vittime di tratta, che nei centri antiviolenza hanno finora trovato un sostegno concreto per dare una svolta alla propria vita». «Raccontiamocela giusta», invitano dunque a uno sguardo critico e disincantato le responsabili di D.i.R.e..

(5 dicembre 2018)

L'originale dell'articolo è apparso su MicroMega ed è reperibile al link seguente

http://temi.repubblica.it/micromega-online/decreto-sicurezza-ma-sicurezza-per-chi/



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