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L'ultimo dono, Sandor Màrai

SU DI LUI


Narratore ungherese (Košice 1900 - San Diego 1989). Studiò a Budapest e in Germania. Dal 1948 ha lasciato l'Ungheria e ha soggiornato in Italia e negli Stati Uniti. Borghese di origine, educazione e cultura, M. è, nei suoi numerosi romanzi, un acuto e severo analizzatore degli stati d'animo dei personaggi appartenenti al suo ceto. Tra le sue opere: Egy polgár vallomásai (1934; trad. it. Confessioni di un borghese, 2003); Válás Budán (1936; trad. it. Divorzio a Buda, 1938); Féltékenyek ("Gelosi", 1937); A szegények iskolája (1939; trad. it. La scuola dei poveri, 1951); Vendégjáték Bolzánóban(1940; trad. it. L'amante del sogno, 1941); Sirály (1943; trad. it. Il gabbiano, 2011); A gyertyák csonkig égnek (1946; trad. it. Le braci, 1999); Sértődättek ("Offesi", 3 voll., 1947-48); Béke Ithakában ("Pace in Itaca", 1952); Napló ("Diario", 1958); San Gennaro vére ("Sangue di San Gennaro", 1965); Hallgatni akartam (2017; trad. it. Volevo tacere, 2017).


SUL LIBRO


Fra il 1986 e il 1987 Sándor Márai, che da più di trent’anni ormai vive negli Stati Uniti, perde i due fratelli e la sorella, e anche il figlio adottivo, appena quarantaseienne. Ma soprattutto perde Lola, la donna che è stata la sua compagna per sessantadue anni: Márai, che ha coltivato il sogno impossibile di morire insieme a lei, è costretto a vederla spegnersi lentamente e, dopo averne disperso le ceneri nell’Oceano, a proseguire un’esistenza che gli appare ormai priva di senso. Il pensiero stesso della «letteratura» gli provoca ormai solo nausea e disgusto. Eppure – e fin quasi alla vigilia della morte – il vecchio «scrittore ungherese» (ché questo egli sarà sempre, afferma, ovunque egli vada) continua, nel monologo ininterrotto che è il suo diario, a registrare annotazioni di ogni genere: aforismi perfetti (la cui acida esattezza ricorda a volte Cioran); lucide riflessioni sulla letteratura (soprattutto quella ungherese, a cui non smette di interessarsi, ma anche Conrad, James, Marco Aurelio, il duca di Sully, Caterina da Siena), sul mondo contemporaneo, sul tema dell’esilio («L’esule che non fa ritorno a casa diventa un personaggio grottesco, se ne sta accoccolato su in alto, come l’anacoreta in cima a una colonna, e aspetta che arrivino i corvi a portargli da mangiare») – e naturalmente sulla prossimità della morte: «La morte è vicinissima, ne sento l’odore. Ma ho ancora qualcosa da spartire con la vita». Sono proprio le estreme, sconvolgenti pagine dell’autore delle Braci. Sándor Márai scrive l’ultima frase il 15 gennaio del 1989. Esattamente un anno prima si era comprato una rivoltella ed era andato più volte in un poligono di tiro per imparare a usarla. Il 21 febbraio, tredici mesi e mezzo dopo la morte di Lola, si uccide.


LA MIA RECENSIONE: CONSIGLIATO

"La sua mancanza? È una sorta di fame d'aria. Non soltanto le parole e oggetti che la ricordano, ma anche l'aria. Anche all'aria manca qualcosa".

C'è tutto Márai in queste pagine, l'ultimo Márai. Nel suo diario, un tratto di penna sulla vita che si allontana. Più che ottantenne, lo scrittore e l'uomo coincidono. La tristezza e la solitudine per il lutto più grave, stremano il cuore triste e stanco di chi ha perduto l'amore di una vita.


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