La bolgia delle eretiche, A&B editrice, è l’ultimo lavoro di Marinella Fiume, docente di Lettere, scrittrice e femminista, già sindaco di Fiumefreddo di Sicilia per un decennio, intellettuale appassionata e raffinatissima.
Quello che d’impatto si percepisce, dopo la primissima lettura, è che non si tratta di un romanzo o che, almeno, non è soltanto quello. Non è un romanzo il libro che l’autrice sta portando in questi mesi in giro per il paese, non lo è nel modo in cui siamo abituati a concepirlo.
È un viaggio, piuttosto, pieno di simbolismi e allegorie. Una discesa agli inferi che subito riporta a scenari danteschi. Qui Capitoli e Quadri si susseguono, con una forza visiva impressionante.
La declinazione è tutta al femminile. C’è dentro la storia delle donne, l’antichissima lotta tra i sessi e in una parola il patriarcato, spiegazione innegabile di tanta violenza anche ai giorni nostri: “perché quello che si svolge da millenni, il conflitto più grande e più duraturo, più di quello tra le generazioni e le classi, è il conflitto tra uomo e donna che prende forme storicamente sempre diverse”.
E, percorse le prime pagine, il lettore intuisce subito di non essere solo. La sua guida è Alda.
Il riferimento alla poetessa dei Navigli è chiaro e voluto. Ma più il libro corre e più ci si rende conto che non è del tutto Alda Merini, che non è unicamente Alda Merini, la figura che accoglie e introduce le altre.
Questa Alda è una milanese anomala, con un’anima sicula. Ritenuta autistica dai più, in un’estrema sintesi, è invece una donna provata che subisce e rifugge da sempre il contatto con il mondo.
Una donna che alla fine se l’è inventato un modo per sopportarlo, quel contatto. Il punto di equilibrio con ciò che è reale Alda lo trova nella scrittura che, compulsiva, si stacca dal corpo di lei e viene fuori come un fiume in piena.
Le sonorità sono quelle del dialetto siciliano, la lingua della nonna “che per essere felice evitava semplicemente la vita, la saltava a piè pari, come fosse un fastidioso incidente di percorso. E scriveva...”.
Con quel dialetto Alda finisce per invadere tutti gli spazi, scrittura che fluisce, fuoriesce dai suoi fogli fino ad occupare ogni cosa attorno a lei, anche i muri. Con l’inchiostro annulla il vuoto e sconfigge la morte.
È vero che esistono donne così e che sempre sono esistite, donne che il buio dentro lo combattono armandosi di parole.
Come Orfeo ed Euridice (cui peraltro la Merini si è dedicata in versi), anche Alda percorre, dunque, gli inferi che le furono destinati.
Claudio Magris in Lei dunque capirà lo aveva riscritto quel mito, riposizionandolo come dentro a un processo. Così Marinella Fiume, in quest’opera, rimescolando nelle carte segrete della Storia ripesca processi e ce li racconta.
Sono processi sommari, imputate le donne, colpevoli tutte di essere eretiche.
Processi sparsi nello spazio e nel tempo, dunque. Accuse impietose e nessuna difesa, Inquisizione. E condanne esemplari. Femmincidi di ieri, violenti ed efferati esattamente come quelli di oggi.
In un’epoca in cui muore una donna ogni due giorni e la violenza di genere è mattanza senza freni, il testo affonda nel passato per risultare modernissimo.
Sfilano, man mano quelle anime, come ombre. Ursula, la planellara, condannata perché “donna libera”; Sofonisba, eretica felice. Garronfola, “denunziata come fattucchiera e catturata con grande spiegamento di forze”, privata all’atto dell’arresto di tutti i beni, lei “baldanzosa e intraprendente”.
E Francisca da Bronte, la santa strega, da sola contro tutti: “il collegio giudicante sugli scranni, dall’altra parte io, a piedi scalzi, in catene su un povero sgabello”, forte solo del suo potere sui demoni che le costava la tortura e la morte, ma indomita: “ero da un lato assai contenta, dall’altro esausta: non ne potevo proprio più, ma non mi arrendevo, specie ora che ero riuscita a seminare il dubbio nelle loro ottuse e infide teste, incapaci di ammettere errore”. Ne andava della mia vita”.
E poi Agueda, giovane suora, di stirpe nobile e cattolicissima, colpevole di aver cercato un contatto immediato col divino, tanto diretto da escludere la Chiesa e i suoi ranghi, e per questo condannata per “infetta dottrina”.
A un certo punto avanza anche Gertrude, trovata “superba, scandalosa, ippocrita, temeraria e vanagloriosa”. E racconta del rogo: “Il fuoco cominciò a essermi somministrato a poco a poco, con sadico piacere camuffato da spirito di carità e volontà di vedermi ravveduta in extremis. Per farmi provare un piccolo saggio degli ardori del fuoco, dapprima mi bruciarono i capelli... Dissero che ero vanitosa e che mostrai più dispiacere per le mie povere chiome, che per la mia anima… Quindi si diede fuoco alla mia sopravveste di pece... Dissero che provavano a vedere se l’ardore delle fiamme mi facesse finalmente aprire gli occhi sui miei errori. Poi s’appiccò il fuoco alla catasta della legna nella fornace di sotto, che consumando le tavole sulle quali sedevo, mi fece piombare dentro di essa. Dissero che non avevano potuto sottrarsi avendomi trovata ostinatissima”. Peppa la cannoniera, forte come un uomo per dirla coi luoghi comuni, chiude il viaggio insieme a Mariannina Coffa, “trentasei anni anni e tre mesi vissuti sotto padroni diversi ma tutti ugualmente dispotici (...) la mia povera poesia come una colpa vergognosa nel buio e nel silenzio”.
Mariannina che con forza sfida il mondo “a fare i conti con me... con la mia anima indomita e superba, anche quando sarò sotto terra”.
Una profondità che inghiotte. Ma una volta riemersi, alla luce del sole del nuovo millennio, il lettore e la lettrice si chiederanno cosa sia davvero La bolgia delle eretiche.
E cos’è, quel viaggio regalatoci da Marinella Fiume, se non la storia delle donne fermata in un fotogramma di eternità?
È un atto di accusa, fortissimo. Un monito, certo. È denuncia contro il potere che imporre divieti e soffoca libertà. Ma è insieme un atto d’amore.
Un suono di viscere che si schiarisce e diventa voce cristallina sgorgata dal passato per parlare a tutte le eretiche di oggi.
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