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Ritrovo, le radici del tempo... (dai miei Racconti brevi, per chi ha voglia di evadere e non può)

Ci sono persone così, come quelle duemila anime di un paesino arroccato sulla montagna che aveva un nome e che poi l’ha perso.

E luoghi così.

C’erano un’infinità di alberi, rivestivano le alture e funzionavano esattamente come fa un polmone.

E, se si voleva respirare aria buona, ci si incamminava per quei monti dove si riusciva anche a pensare in tutta libertà.

Come un soffio di menta fortissima che liberava le vie del naso e quelle del cervello, era quell’aria.

Dicevamo, il paesello aveva un nome e per un po’ non lo ebbe più.

Succedeva all’incirca venti anni fa, era perciò poco prima del 2040.

E c’erano ancora esperimenti di democrazia, a quell’epoca. Si sistemavano nelle aule delle scuole alcune grandi urne, fatte di cartone riciclato. In certi giorni dell’anno ci si recava a imbucare pizzini.

In ciascuna scheda le preferenze, personalissime. Lì dentro finivano nomi e programmi.

Ognuno sceglieva da chi e come essere governato. Alcune volte, con molta fortuna, alla guida ci andavano i più capaci. Il più delle volte, invece, toccava ai più furbi con grandi disastri per tutti.

Poi, a un certo punto, tutto questo smise di essere.

Contadini e allevatori perdevano figli e nipoti, in numero sempre crescente. La comunità moriva, lentamente. Se ne andavano via tutti, attratti dalla grande città. Si spostavano per studiare e poi non tornavano più indietro.

C’era però un sindaco che negli ultimi anni, davanti a questa emorragia, proprio non si dava pace.

E siccome quel sindaco non poteva fermare il tempo, a un certo punto decise di bloccare il progresso.

Fu così che, da un momento all’altro, per via di un’ordinanza degna del più folle tra i pazzi, si trovarono senza più niente. Niente più luce elettrica né linee telefoniche o wi-fi. Niente di niente, nemmeno più l’acqua corrente.

Il mondo in quel luogo arroccato sulla montagna si era oscurato, d’un tratto. L’impressione era di black-out assoluta.

Non c’era un’altra maniera per descrivere quello strano fenomeno. Tutto fermo, in un momento soltanto. Nessun alito.

Mancavano d’un tratto pure le finestre, in quel paesino di montagna. Si erano chiusi a riccio i vecchietti del posto, stretti dentro le loro case.

Il resto lo avevano lasciato fuori.

Si erano ridotti, nel frattempo, anche per numero. Erano rimasti in trecento.

Cosa avevano da dirsi ormai tutti quegli uomini e quelle donne che avevano smesso di usare il telefono? Forse più nulla?

Non era così semplice, in realtà.

Inspiegabilmente, infatti, a un anno intero da quella paralisi che progressivamente aveva narcotizzato la vita del villaggio, qualcosa incominciò a muoversi di nuovo.

Ed era come il risveglio che interviene dopo un sonno profondissimo. Uscivano per strada e si guardavano, come si conoscessero per la prima volta o non si fossero visti mai. Si fissavano. E poi cominciavano a scambiarsi sorrisi. E poi anche parole, prima poche e dopo tante, tantissime parole. Una dopo l’altra, parole come le ciliegie.

Si raccontavano del sole che sorgeva ogni volta a un’ora diversa. Si dicevano quanto bello fosse il colore della luce del giorno, le sue mille sfumature, così tanto diverse da rendere superfluo anche consultare il calendario: il tempo si era ripreso ciò che gli apparteneva.

Si faceva a meno delle macchine, si andava a piedi. Si trasformava d’incanto una veloce scorrazzata in una lentissima passeggiata tra gli alberi. Il mondo pareva avere un profumo tutto diverso.

Anche per quanti si erano sempre fatti la guerra, sembrava non ci fossero più armi da puntarsi contro.

Certo faceva freddo, assai, d’inverno. E faceva anche caldo, caldissimo, d’estate ma ci si copriva o ci si scopriva semplicemente con le stagioni. Le fragole, poi! Quelle si potevano mangiare oramai solo in un brevissimo periodo dell’anno e avevano però un sapore che rimaneva dentro, stampato nella memoria del palato, fino alla nuova raccolta.

Ricordare era come averle lì davanti, dentro a un piatto che non si svuotava mai.

Il paese era rinato.

Quella scelta così bislacca, fuori da ogni regola, aveva riportato a zero le lancette dell’orologio.

In un anno il mondo intero, per gli abitanti di quel borgo, s’era proprio capovolto.

I figli tornavano, adesso. Così pure i figli dei figli, diversi per provenienza e per colore.

Lo chiamavano Ritrovo, quel posto così magico, e lo riempivano di vita nuova. Venivano da tutte le province, attratti dalle casette senza luce né acqua corrente.

Il mondo si era rimesso in cammino.

Semplicemente, lo aveva fatto a ritroso, alla scoperta del profumo delle radici del tempo.



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